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     Da lassù mi scrutava. Forse ne aveva abbastanza di restare dimenticato. In un passato ormai remoto venivano in tanti a chiedere lumi, a porgli mille quesiti, ma ormai nessuno. Quasi tutti lo ignoravano. Certo a molti non volgeva attenzione, oppure, disgustato dalla banalità delle richieste, rispondeva a casaccio per toglierseli d’intorno.
Tanto si trattava di soggetti che si lasciavano trasportare dalla corrente. Le loro domande  erano questioni di cuore o di denaro e se restavano delusi o non venivano più, tanto meglio.

     Per non rimanere disoccupato, si era prestato a dare responsi sul tempo in concorrenza al gracidare delle rane e al canto notturno dei galli, ma da quando la meteorologia era stata annoverata “scienza esatta”, sia detto almeno in assenza di folletti, non venivano a interrogarlo nemmeno per questo.

     Era evidente che si annoiava. Frustrato, avrebbe voluto fare valere il proprio revanscismo, dimostrando come abitualmente i pronostici di politici ed economisti di fama, degli “esperti” che insomma contavano, puah!, davano esito opposto a quello che avevano vaticinato o servivano, a ragion veduta, a illudere i minchioni.

     Aveva provato a vendicarsi ma nessuno gli dava credito e così teneva tutto per sé. Per rimanere allenato, si limitava a paragonare le proprie previsioni con la realtà quotidiana senza farne oggetto di disputa. Rannicchiato in se stesso, durante il sonno piegava il collo nudo di rapace e nascondeva la testa sotto le piume di un'ala.

     Il paragonare non gli costava fatica, tanto gli  umani da millenni facevano sempre gli stessi errori pretendendo essere capaci di evitarli, di aver trovato la giusta ricetta che non riusciva mai a dare l’effetto sperato. Tutt’altro.

     E così, oltre ad avvelenarsi il sangue, per occupare il tempo libero del quale poteva disporre in abbondanza, si dedicava anche a compiti secondari come quello di romperle proprio a me che gli ero capitato a tiro.

     Ficcanaso e criticone da quartiere, ma non osavo dirglielo apertamente. Mi avrebbe aggredito con quei suoi verbalismi carichi di astio, e sarebbe anche riuscito a mettermi di cattivo umore.

     Provare a farlo tacere? Figurarsi. Avrei dovuto produrre un frastuono assordante e pericoloso per timpani e cervello per sopraffare una voce più solenne e assordante di dieci Cassandra all’unisono.

«Cosa? Stai scrivendo? Non dire fesserie. Non vedo né carta, né penna o matita.»
«Scrivo al computer.»
«Non raccontare balle! Il computer non serve per scrivere. È un aggeggio per calcolare se conosci il significato del termine.»
«Anche, ma da decenni viene usato per scrivere. Non dirmi che non  lo sai.»
«Perché la gran parte di chi lo usa non sa cosa vuol dire calcolare e non sa tenere la penna in mano. È come chi trasporta concime nel cofano di un’automobile di lusso. Quando vedo poi il marciume presente ovunque a causa del computer, preferisco girarmi verso un altro punto cardinale.»

«È la legge dell'evoluzione. Da carta e penna siamo passati alla macchina da scrivere e dalla macchina da scrivere siamo passati alla scrittura digitale.»
«Io vedo solo svantaggi.»
«E io tanti vantaggi.»
«Vantaggi? Dimmene qualcuno.»
« Si consuma meno carta.»
«Questa è una bufala da pantano o da parlamentari. Da quando esiste la scrittura digitale il consumo di carta è aumentato.»
«Certo perché si trasportano sulla carta molte più informazioni di prima.»

«Un’altra bufala. Fra poco avrai nel cranio più bufale che cellule cerebrali. Quando dovevi farlo con la penna, o inciderlo sulle tavole di legno o sulle lastre di pietra, la mano seguiva il pensiero. Eri costretto a essere sintetico, mentre ora sei una mongolfiera gigante, tronfia, stragonfia e pronta a scoppiare.»
«Questo lo dici tu.»
«No! Dimenticherai quello che hai appreso con fatica alle elementari, se hai avuto la fortuna di apprenderlo. Per scrivere lo zero dovrai aiutarti con un bicchiere o con un uovo. E poi che te ne fai delle informazioni? Tutto marciume obsoleto o menzognero dove l’umanità guazza.»

«No dai, mi mettono al corrente. Prima erano un appannaggio di pochi.»
«Certo, certo, ti espongono  al flusso della corrente. Magari ci mettessi il posteriore, la corrente te lo pulirebbe.  La piena delle informazioni ti rendono insensibile. La tua capacità di assorbimento è limitata.»

«Così io so…», m’interruppe
«Sai un cavolo. Curiosità malsana per celebrare quante volte il cane alza la gamba per pisciare, e poi a che ti serve? Il sapere è utile se fa agire. Ma se leggi che a migliaia di chilometri c’è qualcuno che ha bisogno di aiuto, vai ad aiutarlo? O se sta bruciando Notre Dame corri a dare una mano ai pompieri?»
«Non posso occuparmi del mondo intero.»
«Perché no? Dovresti. Se non lo fai sei egocentrico e ignori il prossimo.»

     Infilò il becco adunco e robusto nel piumaggio della coscia a lato:
«Scusa se mi gratto. Mi hai messo il prurito con le tue scemenze.»

     Mi ero giusto scostato, avevo udito il segnale di un messaggio al telefonino lasciato nella tasca della giacca. Non appena l’oracolo mi scorse  con l’aggeggio in mano scoppiò in uno sghignazzo assordante.
«Cos’hai da sghignazzare? Ti stai scompisciando tutto. Se non smetti ti cadranno anche le penne residue.»
«E me lo chiedi? Ah, ahahahah, questa poi!»
«Insomma ti vuoi spiegare?»
«Ah, ahahahahah! Cos’hai in mano?»
«Un telefonino. E allora?»

     Si chetò per un attimo, allungò il collo, controllò e riprese lo sghignazzo.
«Che tipo di telefonino, e cosa stai facendo? Ah, ahahahahah!»
«Un androide che ho configurato da poco.»
«Vedo, vedo. Proprio tu che hai sempre criticato chi ne ha uno, rifiutandoti di usare le “app”,  o app-enditi al tram. Ah, ah, ah! L’hai anche configurato.»
«E che bisogno c’è di ridere tanto?»
«Gli umani siete tutti identici. Vi sbracciate, vociate, ingiuriate chi la pensa altrimenti e alla fine vi accodate come pecoroni. Il termine “conseguente” l’avete cancellato dal vocabolario e dalla vostra vita.»
«Brutto criticone rimbecillito, scapolone incartapecorito che nessuna femmina ha voluto avere nel proprio nido…»

     Cianotico di rabbia mi sommerse con il suo vocione.
«Rispedisco al mittente il criticone rimbecillito! Alla mia età tu non sarai nemmeno in grado di trovare il pisello e di pulirti lo sfintere! Tieh!»
Chiuse per un attimo gli occhi, gonfiò il petto e defecò un buon chilo di guano fumante e puzzolente.
«Mi hai messo il mal di pancia. Devo darti però atto che con le femmine, non ne ho azzeccata una. Ci ho sempre rimesso le penne. Eppure una volta …», il tono si fece piatto, gli occhi si velarono.

«Che ti accadde? Fosti oggetto di burla?»
«Ben peggio… mi ero innamorato e, come ogni essere che ama, ero totalmente rimbecillito.»
«Forse non ti sei più riavuto.»
«Rospo sbuffante!», tuonò, «Non approfittare mentre rivivo il ricordo di momenti magici.»
«Scusami!… era bella?»
«Oh se era bella! Splendida è il men che si possa dire.», aggiunse con un sospiro.
«Come si chiamava?»

     Non rispose subito.
Allungò il collo, scosse un’ala e guardò lontano inseguendo una visione.
«Potrei chiamarla pappagallessa o pappagallina. Però quel “pappa” mi è antipatico perché ci vedo sempre un politico o un parassita che pappa e così la chiamo “perruche” in francese.»
«Non capisco come un condor può innamorarsi di una pappagallina.»
«Ho detto “perruche”!», urlò.
«Va bene va bene, “perruche”.»

«Innamorarsi ci si può di tutto e di tutti, il difficile è essere corrisposti.»
«La  pappa… “perruche” si sarà spaventata a morte vedendosi circuita da un rapace.»
«Cretino! Io allora vivevo sotto le spoglie di un “perroquet”, o pappagallo per farti piacere.», la voce profonda di chi ripesca in un lontano passato, il collo curvo, gli occhi sugli artigli. «All’inizio accettò che la corteggiassi ma era tanto bella che tutti la desideravano e così timorosa per le tante attenzioni prese il volo e… sparì.»

«E non l’hai cercata?»
«Se l’ho cercata… Mi allontanai dal piedistallo dei responsi. Volai lontano, la rintracciai ma mi cacciò via. Per avere trascurato il ruolo di oracolo persi anche la fiducia di chi veniva a interrogarmi e nessuno mi volle. Per sopravvivere fui costretto a prendere un aspetto diverso. Quello del condor che vedi e che da allora ho conservato.»

     Si era fatto tardi.
Non avrei mai creduto che un vecchio rapace indurito dagli eventi e dalle intemperie, pronto ad artigliare tutto ciò che gli veniva a tiro, potesse vivere emozioni profonde. Alcune gocce salate gli bagnarono il rostro possente. Strofinò la testa contro le piume del petto per asciugarle e da quel momento si tenne immobile e in silenzio.

S. C. Magro

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