Thank you for rating this article.«È l'unica libera.»
«Dov'è?»
«In fondo alla fila chiusa da quel gorilla al femminile. Difficile che qualcuno la occupi.»
«Non sarà mica cannibale?»
«Ci sarebbe da chiederselo. No dai, è piuttosto gentile, troppo. Sai com'è, i maschietti sono presto feriti nell'amor proprio. Si sentono umiliati.», concluse l'allenatore e titolare del centro.

    Ogni linea comprendeva cinque attrezzi per "strizzare" i muscoli con i diversi esercizi, senza dovere attendere perché occupati da altri.
    La bella ventenne in tuta ginnica, non riuscì a nascondere lo stupore davanti al fisico dell'altra in canotta e short. Due occhi al sommo di un quintale e passa di massa muscolare, tra rivoli di sudore che ne irroravano il viso, la sbirciarono assieme al soffio di un "ciao" forzato e un sorriso appena accennato.

    La nuova arrivata, più che mettersi agli attrezzi, osservava sbigottita come l'altra, se non fosse appunto per il sudore, paresse giocare spingendo con i piedi o tirando con le braccia. A ogni movimento, bicipiti e muscoli sbocciavano prepotenti prima di rilassarsi nella fase di recupero. Quando girando il viso le sorrise una seconda volta, si rese conto di essere ancora lì a bocca aperta. Arrossì, chinò il capo e si diede da fare.
    Un'ora dopo decise di averne abbastanza.  Quella accanto aveva già smesso.

    La trovò a centellinare una minerale a uno dei tavolinetti vicino all'uscita.
«Non volevo, ma sono rimasta di stucco.», scusandosi per l'antecedente indiscrezione.
«Che vuoi che sia, non sei la prima. Non hai sete? Vado a prenderti una minerale.» avviandosi alla vetrina dove stavano allineate.
«Grazie! Diamine, avrei potuto prenderla da me.»
«Frizzante o liscia?»
«Liscia per favore.»

    Sedettero.
«Nuova?»
«Sì! E tu?»
«Cinque anni, proprio oggi.», sollevando la mano a dita divaricate.
«Dovresti festeggiarlo.»
«Ottima idea… Ci stai a fare un giretto?», asciugandosi il viso con la tovaglia attorno al collo a mo' di sciarpa.
«Non so… così all'improvviso… dovrei prima andare a casa… Non è nei miei piani.»
«Nemmeno nei miei, a dire il vero… Altri impegni? Scusa…»

«Un libro in attesa, e nessuna voglia di sedermi a un bar.», poggiandosi allo schienale.
«Se è solo per questo… andiamo a casa mia. Un brindisi con un buon prosecco. Sei in macchina? A proposito… io Sonia.», allungando la mano.
«No, con i mezzi pubblici. Piacere Sonia… Maya.» stringendogliela.

«L'ape regina?» ammiccò Sonia.
    Maya sorrise.
«Davanti alla determinazione.»
«Eh?» fece l'altra corrugando le sopracciglia
«Il nome Sonia.»
«Non lo sapevo. Quand'è così… si va a casa mia. Ti accompagno poi in macchina in onore al Sonia.», alzandosi, una mano sulla spalla di Maya sigillò la decisione.
«Ma non voglio fare tardi. Tutta sudata?… Grazie.»
«Lo sono anch'io. Andiamo!»

«Carino il tuo rifugio.»
«Grazie, mettiti comoda. Tengo sempre qualcosa in frigo… un attimo.»
    Mentre spariva dietro la parete che celava in parte l'angolo cottura, l'ospite faceva girare lo sguardo. Gli occhi si posarono sul mezzo busto di un giocatore di football americano nella sua bardatura. La griglia dell'elmo calcato celava in buona parte il viso ma…

    Arrivarono un prosecco più decorato di tanti buoni champagne, due calici  e un piatto in legno di acacia con patatine croccanti alla paprica, pistacchi, crakers e arachidi.
«Tolgo via le scarpe per infilare le zampe nell'acqua fresca. E tu non vorresti? Ti sentirai meglio. Anzi vieni, io lo farò dopo.»
    Quando Sonia si esprimeva, il tono chiaro e armonioso suonava logico. Non ti sentivi di contraddire. Maya titubava.
«Dai Maya, vedrai che poi avrai ai piedi le ali di un'ape operaia, non regina.»
    Risero.

    Rinfrescati anche lei i plantari, lasciati nudi sui tappeti soffici, infilata una quasi minigonna,  fece saltare il tappo alla bottiglia che Maya:
«Perdona la curiosità ma lo sportivo con quella bardatura, non saresti per caso tu?»
«Evviva!», mescendo. «Azzeccato… Fine osservatrice. Da dove l'hai capito?»
    
    Maya si strinse nelle spalle:
«Non so, mi è venuto così. Forse il pettorale troppo pronunciato.»
«Non direi… Sei intuitiva?», porgendole un calice.
«Spesso, sì.»
«Mi toccherà stare attenta… Salute!»
«Salute a te e ai cinque anni di palestra».
    I bicchieri tintinnarono. Un sorso …
«E al piacere di fare la tua conoscenza, Maya.»
«Piacere mio. Perbacco sei… come dire… una… una che traina.», risollevando i calici.

 
«Dunque, tu pratichi quello sport?»
«Lo praticavo.», rosicchiando noccioline e altra roba, il tono si fece quasi malinconico. «Quando oltre cinque anni fa rimpatriai, lasciai una parte di me laggiù.»
«Come mai? Non ti trovavi bene?», chiese Maya con gli occhi che traboccavano di domande.
«Troppo bene. Mi ritirarono provvisoriamente la licenza. Avrei potuto fare l'allenatrice e a me non bastava. Umiliante rinunciare al corpo a corpo della competizione.»
«Come mai?»

«Beh che vuoi farci. Madre natura mi ha dato un fisico responsivo che ho curato e curo. Accadde che in un incontro mandai all'ospedale per oltre un mese, senza volerlo, chi provava a fermarmi.»
«Ebbene? Se la tua antagonista non aveva il fisico per un tale sport non era colpa tua.»
«No, di certo. Solo che in un'altra gara amichevole con una squadra maschile, un  nuovo scontro fu catastrofico. Mi passavano il mellone, ne ha la forma, non che io fossi più veloce degli avversari ma per il semplice motivo che li travolgevo, non riuscivano ad arrestarmi…»

    Sonia si zittì. Gli occhi tinti di tristezza vagavano lontani nei ricordi.

«E allora?», insistette Maya, rompendo l'ostacolo che inibiva l'altra.
«Allora», con fatica, «un ragazzone afroamericano, un atleta ben più alto di me e con un fisico da ciclope, mi si lanciò contro con tutta la sua potenza… Io procedevo a testa bassa… lo schianto fu terribile. Caricandolo a nulla valse la corazza. Gli sfondai il petto.»
    Fece pausa.
    
    Una, due lacrime le solcarono le guance. Continuò a voce spezzata dopo una buona manciata di secondi:
«Una costola incrinata gli aveva ferito un ventricolo.  Non morì. Andavo spesso a trovarlo durante la degenza in ospedale. Guarito, dovette rinunciare alla competizione. Era una promessa per la squadra locale.», e chiuse il discorso a capo chino, gli occhi al suolo, le mani giunte tra le cosce.

     A Maya che occupava l'angolo del divano accanto, venne naturale poggiare la sua vicino al lembo della mini. La pelle era vellutata, calda, il muscolo vibrava. Un formicolio le invase il corpo.
«Ti pesa ancora?»
«Puoi dirlo. Il solo conforto è che ogni tanto ci scriviamo. Ma il suo sogno è svanito.»
    Fu Sonia a poggiare ora la mano su quella di Maya, premendola contro il muscolo.
«Grazie Maya… sono piuttosto restia a raccontarlo ma con te la valvola non ha tenuto. Chissà perché… Dai», cambiando tono di voce, «beviamoci sopra, non per annegare ma per navigare.»
    Risero e alzarono nuovamente i calici.

    Il dialogo volse sulle banalità giornaliere: cosa fai, come  te la passi e spassi e via dicendo. Cominciavano a eccitarsi e il prosecco ci metteva del suo. Il fondo della bottiglia faceva già capolino quando Sonia, non proprio a bruciapelo ma quasi:
«E con gli uomini come te la cavi? Essendo tutt'altro che da buttar via ti daranno la caccia?»
«So come sviarli e se devo proprio rimetterci la pelliccia, che sia un bravo cacciatore. Deve saperci fare.»
«In che senso?»
«Ars amandi! E tu?»
«Ahahah! Buona questa. Io? Chissà se posso permettermi di dire come la penso. Ma va… Quando pesco il tipo che mi conviene, cosa non facile, lo distruggo e poi: Sciò!»

    Fece l'atto di versarsi. La bottiglia era vuota.
«Il tipo che ti conviene?»
«Aspetta! Sostituiamo questo cadavere. Ne ho ancora una in frigo.», avviandosi.
«Stasera chissà come andrà a finire.», obiettò Maya.
    Stappata la nuova, Sonia versò:
«Tra donne non può che finire bene… chiedevi del tipo? Al primo colpo non deve mettere l'arma nella custodia ma attenta, nessuna voglia di legarmi.»

«Filosofia di vita?»
«No!… Piacere di vita. L'energia necessita uno sbocco con qualcuno che tenga. Il mio vaso trabocca e le bollicine del prosecco stanno avendo anche ora il loro effetto.», alzando gli occhi al soffitto.

«A chi lo dici.», le fece eco Maya, il corpo serpeggiato da uno strano calore.
    Sonia stendendo il braccio, un invito ad avere la mano dell'altra, la voce sensuale:
«Vuoi rendertene conto?» Maya, le guance accese non riusciva ad opporsi anzi …
    La mano scivolò dolcemente sempre più in su sulla pelle vellutata e calda sotto la mini. Sonia ebbe un  brivido…

… Stese sul tappeto una accanto all'altra, le chiome arruffate, scompigliate, si girarono di fronte sul fianco.
    Occhi negli occhi, sorrisero stringendosi forte.

    Parcheggiò sul marciapiedi davanti all'ingresso dell'immobile dove abitava Maya. Erano le due del mattino.
    Prima di congedarsi doveva porle una domanda che in quei dieci minuti di guida l'aveva assillata. Non voleva ma doveva.
«Maya, scusami! Forse non avresti voluto.»
«No Sonia. Non devi scusarti. È stato… è  stato… indescrivibile. La prossima volta da me.»
«Oh Maya!», abbracciandola. «Ma senza rinunciare al maschio! D'accordo?»
«E che tenga.»

S. C. M.
ottobre 2019

Aggiungi commento